GUSTO E STORIA DELLE MARCHE

IL RE DEI BOSCHI
Sua maestà il tartufo, che puoi gustare tutto l’anno. In particolare il bianco pregiato di Acqualagna e Sant’Agata Feltria.
CARTA D’IDENTITÀ DEL TARTUFO:
Tuber Magnatum Pico conosciuto come tartufo bianco pregiato, di Acqualagna e Sant’Agata Feltria, solitamente gustato crudo, affettato molto finemente sui piatti – lo troviamo dall’autunno all’inizio dell’inverno;
Tuber Melanosporum – Vitt. conosciuto come tartufo nero, solitamente gustato previa cottura – da dicembre a marzo;
Tuber Albidum Pico o Tuber Borchi Vitt. conosciuto come “Bianchetto” o “Marzuolo”, da gustare crudo – da gennaio ad aprile;
Tuber Brumale Vitt. Conosciuto come tartufo nero invernale o “Trifola nera”, dal sapore forte, spesso si abbina al nero pregiato – da gennaio;
Tuber Brumale Varietà Moschatum De Ferry, conosciuto come tartufo moscato, tartufo nero di campo – da gennaio a marzo, emana un profumo di muschio;
Tuber Aestivum Vitt. conosciuto come tartufo estivo o scorzone, maggengo, maggiolo, o statareccio – da maggio a settembre, emana un aroma di funghi;
Tuber Uncinatum Chatin Vitt. o tartufo nero di Fragno o grigio di Borgogna – autunno/inverno;
Tuer Macrosporum Vitt. O tartufo nero liscio – da ottobre a dicembre;
Tuber Mesentericum Vitt. O tartufo nero ordinario di Bagnoli – da ottobre a dicembre.

OLIO….ORO SULLA TAVOLA!
L’olio extra vergine di oliva di Cartoceto e Montegridolfo. La coltivazione dell’olivo e la molitura delle olive in questo territorio ha origini molto
antiche: a partire dal 1228 alle navi marchigiane, che dovevano approdare sul fiume Po, era richiesto un pedaggio, che consisteva in venticinque libbre di olio.
L’olio di questo territorio presenta grandi qualità organolettiche. Tra le varietà autoctone possiamo gustare: la Coroncina, il Piantone di Falerone, il piantone di
Mogliano, la Rosciola, il Sargano di Fermo, l’Orbetana, la Mignola, la Carboncella, la Raggia e la Raggiola.

CICERCHIA DI SERRA DE’ CONTI
Marche
Presìdio Slow Food
Nella seconda metà del XX secolo erano rimasti in pochi i contadini di Serra de’ Conti che coltivavano la saporita varietà locale di cicerchia, che pure un tempo era molto diffusa nelle Marche. Si seminava in primavera tra il granoturco assieme ai fagioli e ai ceci e si raccoglieva ad agosto. Le piantine riunite in piccoli fasci erano appese al sole e poi battute nell’aia: una buona scorta di cicerchie era una garanzia per l’inverno. Poi questo legume poverissimo è stato abbandonato e, per anni, l’unica cicerchia presente sul mercato è stata quella grande e insipida prodotta dalle multinazionali.
È una varietà minuta e spigolosa, con colorazioni che vanno dal grigio al marrone chiaro maculato. Ha una buccia poco coriacea e un gusto meno amaro delle altre varietà di cicerchie. La cicerchia di Serra de’ Conti non ha bisogno di lunghi tempi di ammollo (sono sufficienti cinque ore) e di cottura (bastano 40 minuti).
Un ingrediente particolarmente versatile: ottima in zuppe e minestre, ma anche cucinata in purea o servita come contorno dello zampone. Con la farina di cicerchie, inoltre, si preparano maltagliati e pappardelle.

Stagionalità:
La raccolta avviene a fine luglio ma si trova essiccata tutto l’anno.

LONZINO DI FICO
Marche
Presìdio Slow Food
I fichi sono i Dottati oppure i Brogiotti, seccati dopo l’abbondante raccolto di fine settembre, amalgamati agli altri ingredienti della tradizione povera contadina: mandorle, piccoli pezzi di noce e semi di anice stellato. Talvolta impastati con un poco di sapa (mosto di uva sobbollito a lungo) o mistrà (liquore ottenuto dalla macerazione di frutti di anice nell’alcol) e avvolti in foglie di fico, diventano “lonze” o “lonzini”. Un tempo nelle campagne marchigiane, in particolare nella Vallesina, si coltivavano fichi in abbondanza e maturavano tutti insieme poco prima della vendemmia. I contadini si davano un gran daffare per conservarli in mille modi e proprio così nacquero i salamotti dolci di fichi. Legati con un filo di spago o di lana duravano tutto l’inverno, fino a primavera, accompagnando le merende dei ragazzini e i fine pasto delle feste. Dal colore marrone dorato, compatti e solidi, sono ottimi tagliati a fettine; oggi sono confezionati anche sottovuoto perché si mantengano freschi tutto l’anno.
Il lonzino, tagliato a fettine non troppo sottili, alla vista si presenta come un impasto fine di fichi secchi macinati, con presenza di mandorle e noci. Al naso si sente immediatamente la frutta matura con una nota avvolgente di anice. Al palato deve risultare morbido e armonico. Se viene servito con la sapa (mosto di uva), risalta meglio la sua dolcezza complessiva con note di caramello.
È ottimo abbinato a un formaggio non molle, di media stagionatura e a un calice di vino passito.

Stagionalità:
I fichi sono raccolti ed essiccati da agosto a settembre, ma il lonzino può essere reperito tutto l’anno.

MELE ROSA DEI MONTI SIBILLINI
Marche
Presìdio Slow Food
Le mele rosa sono un’antica popolazione coltivata da sempre nelle Marche, in particolare tra i 450 e i 900 metri di altitudine: dalle aree pedecollinari fino alle valli appenniniche e ai versanti dei Monti Sibillini.
Un tempo le mele rosa erano preziose e ricercate soprattutto per la loro serbevolezza: raccolte nella prima decade di ottobre, infatti, si conservano perfettamente fino ad aprile. Le diverse tipologie hanno in comune una polpa acidula e zuccherina e un profumo intenso e aromatico. Qualità che rendono questa mela perfetta anche per la preparazione di torte e dolci.
Il Presidio ha individuato otto ecotipi di mele appartenenti a tre gruppi, che si diversificano per colore di fondo, sovracolore e consistenza del frutto.
Le prime sono verdi con striature rosa o giallo aranciato e polpa soda e croccante; le seconde sono tenere e gialle, con sovracolore rosso vivo nella parte soleggiata del frutto; quelle del terzo gruppo, infine, sono sode, verdi, con striature rosso vinoso e sode.
Tutte e tre le tipologie coltivate sono piccoline, irregolari, leggermente schiacciate e con un peduncolo cortissimo.
Insomma, buone ma poco appariscenti e che, per questo, non riescono a competere con le mele moderne presenti sul mercato: più grandi, regolari e dai colori brillanti. La loro coltivazione era stata quasi completamente abbandonata ed era sopravvissuto solo qualche vecchissimo albero sparso, ma da qualche anno sono tornate in coltura, grazie al lavoro della Comunità Montana dei Sibillini, che ha reintrodotto sul territorio gli ecotipi conservati nei centri di ricerca locali dall’Assam Regione Marche

Stagionalità:
L’ epoca di raccolta va dalla fine di agosto alla fine di ottobre ma le mele possono essere consumate fino alla fine della primavera successiva.

PECORINO DEI MONTI SIBILLINI
Marche
Presìdio Slow Food
La storia dei Sibillini è prima di tutto quella della transumanza e queste montagne conservano i segni di un’importante civiltà pastorale. Dal Monte Sibilla (2173 metri di altezza), prendono nome il parco nazionale e il pecorino che lì si produce. In realtà, i pecorini dei Sibillini sono due: uno fresco e prodotto tutto l’anno con il latte pastorizzato dai caseifici industriali, l’altro fatto con latte crudo, semicotto e stagionato in modo naturale, sostenuto dal Presidio. Secondo la tecnica tradizionale, il latte appena munto viene portato a circa 37°C in un paiolo di rame, quindi viene aggiunto il caglio naturale.
Dopo circa 30 minuti si rompe la cagliata, si riscalda a circa 45-48°C e si sistema la massa nelle fascere. Quindi si pressa, si sala a secco per un paio di giorni, si lava, si asciuga e infine si pone a stagionare in un locale fresco e lievemente umido in cui, ogni due o tre giorni, le forme devono essere rigirate per favorire la formazione della crosta. Il formaggio si può consumare dopo circa 60 giorni ma, senza dubbio il risultato migliore si ottiene facendolo stagionare alcuni mesi, in modo da avere forme dalla crosta dorata, ocra o nocciola, dalla pasta giallo carico, compatta e lievemente grassa, con una consistenza granito-scagliosa, un odore aromatico e potente, spesso di fungo e tartufo, un sapore deciso, piccante e molto persistente.

Stagionalità:
Il periodo di produzione del Pecorino dei monti Sibillini va dalla primavera, dopo lo svezzamento degli agnelli, fino al mese di ottobre.

MOSCIOLO SELVATICO DI PORTONOVO
Marche
Presìdio Slow Food
Ad Ancona, i moscioli sono le cozze o mitili (Mytilus galloprovincialis), “selvaggi”; quelli cioè che si riproducono naturalmente e vivono attaccati agli scogli sommersi della costa del Conero.
La presenza di moscioli in questi mari è testimoniata in maniera precisa già dall’inizio del Novecento; la pesca, però, era molto limitata e le colonie di molluschi erano concentrate sullo scoglio del Trave e su pochi altri scogli e secche tra Pietralacroce e Sirolo.
Fino al secondo dopoguerra la pesca era effettuata con barche a remi, le batane, e rappresentava un’integrazione al reddito per i contadini delle frazioni di Poggio, Varano, Massignano e Pietralacroce e del Comune di Sirolo, nonché per le maestranze del porto di Ancona.
L’attrezzo che serviva per strappare i moscioli dagli scogli, simile a un forcone, non era particolarmente dannoso: più dannosa fu, col passare del tempo, l’adozione della “moscioliniera”, una lunga pertica con in fondo dei denti di ferro ricurvi con la quale si raschiano gli scogli dalla barca.
In questo modo sono strappati sia i moscioli grandi che quelli piccolissimi: paradossalmente però tale tipo di pesca ha contribuito alla proliferazione dei moscioli in quasi tutti gli altri scogli sommersi del Conero. Infatti, alcuni dei moscioli più piccoli, ributtati in mare, riuscivano a sopravvivere e a colonizzare nuove zone. I pescatori amano mangiare i moscioli appena pescati, fragranti per il profumo delle alghe e del mare, aperti su una lastra posata sul fuoco, senza alcun condimento, oppure alla marinara: aperti in pentola con aglio, prezzemolo, olio e pepe.

Stagionalità:
Il periodo di pesca del mosciolo è solamente estivo e va da aprile a ottobre.

SALAME DI FABRIANO
Marche
Presìdio Slow Food
Il salame di Fabriano è citato in una lettera firmata da Giuseppe Garibaldi e, nel 1877, l’intellettuale marchigiano Oreste Marcoaldi scrive: «il salame è una specialità fabrianese, come di Bologna è la mortadella e di Modena lo zampone». Insomma, non si tratta di un prodotto qualunque, ma di un salume pregiato e di un elemento importante per l’identità del paese. Un salume nobile, fatto macinando la parte più pregiata del maiale: il prosciutto. La ricetta, indicata da Marcoaldi per sommi capi, è sempre la stessa: si taglia il lardo (solo quello di schiena, il migliore) in cubetti poco più grandi di mezzo centimetro, che vengono salati e rimescolati con cura, poi si provvede alla preparazione delle parti magre del maiale (coscia e spalla) anch’esse tagliate e tritate finissime. Quindi si amalgama l’impasto con la forza delle braccia e si condisce con sale e pepe (a volte si aggiunge un po’ d’aglio, dipende dalla ricetta); nient’altro. A questo punto si insacca nel budello gentile (il più adatto alle lunghe stagionature) dopo averlo lavato e passato nel vino (oppure nell’aceto) e si lega alle estremità con lo spago.
Appesi a coppie i salami di Fabriano asciugano qualche giorno al fuoco lento del camino, ma non devono affumicare: il calore serve soltanto per eliminare l’umidità. Dopo 50, 60 giorni – il periodo di stagionatura ideale – i salami sono pronti: pesano all’incirca tre o quattro etti, sono lunghi 30, 35 cm e hanno un diametro di 6 cm. La lavorazione è esclusivamente invernale: si macella e si insacca da ottobre a marzo, dopo non si fanno più salami, il caldo li rovinerebbe.

Stagionalità:
Il periodo di lavorazione del salame di Fabriano va da fine settembre a inizio maggio. La stagionatura minima è di 60 giorni.

I PAESAGGI INVISIBILI DI PIERO DELLA FRANCESCA
Venite qui in primavera, quando i primi raggi di sole, caldi, penetrano obliquamente tutto ciò che incontrano colorando tutte le cose di rosso cipria, rosa pallido e giallino…un paesaggio poetico, bucolico che accompagnò i viaggi di Piero della Francesca cinquecento anni fa, quando da Borgo San Sepolcro si recava dai Duchi di Urbino e di Rimini, con il suo cavallo e proprio qui, trovò la fonte di creazione dei suoi paesaggi…un viaggio emozionale quindi, che ha unito profumi, colori, luci diverse, gelsi secolari, boschi, pievi… e che ha unito ancora una volta due regioni: Marche e Romagna. …oggi, le “landscape busters”, o cacciatrici di paesaggi, Rosetta Borchia e Olivia Nesci, dopo anni di lavoro e con l’obiettivo di cercare il vero, hanno riscoperto tali paesaggi, riattaccando armoniosamente i fili dei ricordi e della conoscenza, spezzati o andati persi. Attraverso anni di ricerca, di impegno costante, notti insonni, sogni, difficoltà ma anche tanta passione e amore profondi per il nostro territorio, hanno dimostrato scientificamente che i paesaggi dei dipinti di Piero si trovano proprio qui, nel Montefeltro, fra le Marche e la Romagna. Attraverso sentieri suggestivi, e percorsi insoliti, vi accompagneremo ai balconi sospesi sulle vallate infinite, circondate da colline dolcissime mai uguali, “da vestire, arredare, abbellire con manti preziosi: velluti, rasi, broccati che scivolano creando pieghe ed increspature, che si aprono come sipari, mostrando al di là altre scene di colline, più lontane. E poi passamaneria preziosa, nappe, nastri, pompon, frange, borchie, fili di perle a profusione, spille e gioielli come si fa per abbellire la donna amata” (Rosetta)…, un viaggio esperienziale che vi porterete dentro a lungo.

I 7 balconi di Piero della Francesca:
Monte Gregorio – San Leo (RN)
Ca’ Mocetto – Urbania (PU)
Pieve del Colle – Urbania (PU)
Monte Gregorio – San Leo (RN)
Pugliano Vecchia – Montecopiolo (PU)
Petrella Guidi – S. Agata Feltria (RN)
Monte Boaggine – Montecopiolo (PU)

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2020-09-30T16:23:22+02:00

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