Nel 1970 moriva uno dei più grandi poeti italiani, del Novecento e non solo, Giuseppe Ungaretti; da allora sono passati cinquant’anni. Non mi sembra – ma questa potrebbe essere una mi svista – che questo anniversario sia stato rivestito del riconoscimento dovuto, la scomodità della poesia ci fa distratti, specie quando il nostro essere deve confrontarsi con una simile levatura. Un secolo di storia e critica letterarie, hanno consacrato Ungaretti come un autore imprescindibile, ma nelle sue poesie c’è ancora qualcosa che scandalizza che mette a nudo la condizione umana. La sua opera fotografa la vita di un uomo, ma ognuno in quella può rispecchiarsi, ritrovarsi. Questo breve invito alla lettura di Ungaretti ha come centro di attenzione una poesia, Peso, scritta quando il poeta era fante dell’esercito italiano durante la prima Guerra Mondiale, sul fronte del Carso.
PESO
Mariano il 29 giugno 1916Quel contadino
si affida alla medaglia
di Sant’Antonio
e va leggeroMa ben sola e ben nuda
senza miraggio
porto la mia anima
Lo stato d’animo del poeta – nel momento drammatico della guerra – si confronta con quello del contadino-soldato che porta sulla divisa una medaglietta di latta con l’effige di Sant’Antonio. Il confronto passa attraverso tre aggettivi: leggero (Il contadino), sola e nuda (l’anima del poeta). Ma la parola chiave della poesia è un’altra, poiché Ungaretti introduce e ci introduce nel significato del verbo affidarsi.
La leggerezza del commilitone non è esuberanza, fanatismo, sprezzo del pericolo, ma affidamento ovvero la certezza che la sua vita è determinata, accompagnata da un Altro. Su questo tema Ungaretti si misurerà in altre sue opere, fino a farne un cammino di conversione, di affidamento…
Bruno Bonci
Ungaretti, fante dell’Esercito Italiano, durante la Grande Guerra