Misticanza
Nutrimento della terra
Il seminatore – Vincent Van Gogh
Amsterdam Museum
Ho scelto di chiamare Misticanza: Nutrimento della Terra questa pagina a cui ho deciso di dedicarmi un po’. Misticanza, da noi nelle Marche, è quel misto di erbe selvatiche che un tempo nonne e mamme andavano a raccogliere nei pendii delle strade e dei fossi e nei campi a riposo: Rughetta, gruspigni, pimpinella, caccialépri, papatéll, giransòi, pisciachèni, striti e quant’altro. Unico sostentamento, molto spesso, per le famiglie.
Oggi, purtroppo, solo qualche rara eroina si avventura in questa cerca e, ahimè, un’antica tradizione si va perdendo.
Racconterò storie di cibo e di vino e d’altro, una misticanza appunto, storie che mi hanno appassionato fin da ragazzo e sono state, per me, “nutrimento”.
“L’insalata non è bella se non c’è la pimpinella”
Detto contadino
LA NONNA ROSA
Èl nonn Anselmo e la nonna Rosa vivevano al Petriccio, nella casa attaccata alla chiesa con nel loggiato un affresco trecentesco di un non meglio identificato Maestro del Petriccio: “L’Annunciazione, la Crocifissione e la Madonna dell’Umiltà”, sulla sinistra del quale è raffigurata la Madonna che allatta il Bambino Gesù. Particolare questo inusuale, non so se unico, di certo abbastanza raro dalle nostre parti.
Lui falegname in pensione e lei perpetua, godevano il meritato riposo notturno nella camera da letto situata proprio dalla parte opposta al muro dove è sistemato il grande crocifisso di legno, alle spalle dell’altare. C’erano, nel soffitto, due fori dai quali venivano giù le corde delle campane che andavano a finire, attraverso altri due fori nel pavimento, al piano di sotto in sacrestia. La cucina era piccola, ma per la sera dla V’giglia e ‘l giorn d’ Natèl riusciva ad accogliere la moltitudine dei parenti riuniti; aveva solo una piccola finestra coi vetri appannati che dava sul campo di bocce, che oggi non c’è più.
In quella minuscola cucina Nonna Rosa inconsapevolmente ha introdotto, me bambino, nella
CUCINA DEI SENSI
Io questo l’ho compreso solo molto tempo dopo, ma ancora oggi è nitido il ricordo.
L’udito
Era il primo dei sensi sollecitati, la frenetica cadenza del batùt si spingeva lontano, oltre le finestre, se ripenso a quel ritmo ad occhi chiusi mi sembra di sentire una musica di flamenco, o il Bolero di Ravel, o più ancora Barco negro, la canzone di Amalia Rodrigues, cantante portoghese regina del fado.
L’olfatto
Era il senso che con l’udito faceva a gara per raggiungermi prima, e più di una volta ci riusciva con l’effluvio del soffritto, il profumo solare del basilico o quello fumoso de i pondòri tla gratìcla.
La vista
… Beh, senso non poteva essere più appagato alla visione della nonna, lo zinale infarinato stretto ai fianchi e le guance rosse, intenta col matterello a fè la pasta d’ chèsa, maghèra dó tajulìni longhi.
Il tatto
Il ricordo del tatto è quello del pane caldo fatto in casa, o dell’appiccicaticcio tra le dita mentre sto a dè dó morsi t’un bel cosch de poll aròst o de cunìll in porchetta, sa l’ajû e ‘l fnòcchiû. Ma soprattutto la memoria del tatto mi riporta alle mani nodose di mia nonna, al suo con-tatto. Un pianista polacco usava ripetere un’affermazione bellissima che un Maestro della cucina italiana -di cui parlerò in altra occasione- citava spesso, perfetta per le mani di mia nonna: «Le mani sanno».
Il gusto
E finalmente, ultimo ma non ultimo arrivava il gusto, giusta esaltazione di tutti i suoi piatti, espressività della sua semplice vita. Grande cuoca autodidatta e analfabeta, mi ha insegnato in cucina ad avvertire coi sensi le cose.
Nonna Rosa era la sorella più granda dla Maria del Belvedér, alla quale ha fatto da madre e alla quale ha trasmesso tutto il suo sapere, un mito in gastronomia la Maria che nel nostro paese ha cucinato un po’ per tutti, al contrario di mia nonna Rosa che ha preparato intingoli solo per la sua famiglia, non si è mai esposta, non si è mai messa in mostra se non per figli, nipoti e pronipoti.
“La Rosa è senza perché, fiorisce perché fiorisce
(cucina perché cucina)
di sé non se ne cale, non chiede d’esser vista…”
Angelus Silesius, Il pellegrino cherubico
Tutta la grande passione che ho per la cucina, è da qui che ha inizio: sono passati cinquant’anni, quasi stento a crederci. Adesso che il tempo è andato avanti, ho la possibilità di percorrere il sentiero alla rovescia, partendo serenamente dai ricordi della mia memoria senza agire in maniera inquinante, in modo da non alterarne la natura.
“… e non buttiamo via le bottiglie vuote. Restino a testimonianza”.
Perché se il vino è finito, noi sappiamo lo stesso che è buono.
Scrivi un commento