
IL DONO DELL’ARTE IN WILLIAM CONGDON
(a cura di Bruno Bonci)
E’ stata davvero un’occasione preziosa e unica, quella offerta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi che, dal 12 dicembre scorso al 27 marzo ’22, ha proposta una mostra del pittore William Congdon (1912 – 1998). Negli spazi di Palazzo Bisaccioni sono state esposte trentatré opere che hanno ripercorso l’itinerario esistenziale e artistico, dalla fine degli anni Quaranta al 1998. Sabato 26 marzo, assieme ad altri curiosi, ero a Jesi anch’io, grazie all’iniziativa del Centro Culturale “Mounier” che ha organizzato la visita. La prima volta che ho sentito parlare di Congdon ero studente universitario e ancor prima dei quadri mi colpirono le sue parole come quelle contenute in un suo diario. [1] Nel 1955 a Santorini; “(…)puoi fare solo in quanto sei… uno fa per essere, solo per via della mia pittura io sono.” Il 20 agosto 1962 a Subiaco: “L’arte non è più lo scopo della mia vita. L’opera della salvezza della mia anima è lo scopo. Prima dell’arte c’è l’uomo. Prima dell’uomo c’è la vita.” Protagonista dell’action painting americana, dopo la drammatica esperienza della seconda guerra mondiale, Congdon inizia una lunga serie di viaggi che lo porteranno in Africa del nord, in Grecia, in Asia, nel Medio Oriente e in America Centrale. Una tappa fondamentale sarà quella italiana, a partire dal Sud verso Roma, poi Venezia, ma con Subiaco e Assisi come momenti fondanti della sua esperienza umana e artistica, fino all’approdo nella Bassa Milanese. La conversione al cattolicesimo nel 1959 (Assisi) segna una svolta che queste parole sembrano sintetizzare: “Non chiedere a Dio di darti la pittura, chiedigli che tu la dia a Lui che gliela restituisca dato che è Sua in ogni caso, chiedigli di darti Se stesso perché in Lui c’è la tua pittura.” Quella di Congdon è arte della realtà, percezione che rivela l’invisibile, icone del reale abitato dal Mistero, imitazione dell’atto creaturale. Lo ha colto bene il teologo Olivier Clément, in un saggio dedicato all’artista: “Il gesto della mano prolungata dalla spatola non è più gesto di superbia demiurgica, è gesto nuziale che ritrova, sposa, trascrive il gesto creatore di Dio.”[2]
Per cogliere meglio le impressioni sull’artista, ho chiesto ad alcuni partecipanti un loro contributo.
- Durante la visita alla mostra, ho osservato dipinti di straordinaria bellezza. A me hanno comunicato una difficoltà e una fatica esistenziali dell’autore, espresse dall’uso di colori scuri, come base, in molte opere. Ma proprio perché elevati a contrasto, alcuni soggetti con toni e sprazzi di luce, mi hanno comunicato la speranza propria di chi cerca un senso alla propria esistenza. [Lorena]
- Quando sono davanti ad un’opera d’arte, sto in apnea e non so perché. L’ho notato diversi anni fa davanti ai Girasoli di Van Gogh, in mostra a Roma: silenzio e apnea. Davanti alle opere straordinarie di Congdon è stata di nuovo la stessa cosa. La vertiginosa esperienza di essere avvolta nel vortice verso il basso di “Colosseum 2” oppure nel colore drammatico di “Toro morente 9”, hanno lasciato intravedere la scoperta della Verità che il pittore svela e ci svela alla fine della sua vita: “Tre alberi (Venerdì Santo)”, un cambiamento, specchio della sua conversione. La selezione dei suoi scritti, scelti per accompagnare la visita, insieme ai volti del gruppo di amici invitati dal Centro Culturale, mi hanno permesso di respirare a pieni polmoni la positività della realtà-segno che continua inesorabile a destare il mio cuore e i miei occhi anche in un pomeriggio jesino. [Eriberta]
- Bill Congdon, grande pittore che dipinge per l’amore ad un Altro. Questo mi colpisce di Congdon, non solo le sue opere, spesso poco comprensibili, perché sono dono di un Altro; neanche la sua pittura e genialità artistica sono sue, ma ciò che un Altro ha suscitato in lui. Quindi mi interessa osservare e stare di fronte ai suoi quadri con uno che me li spiega: il Colosseo, Assisi, Istanbul, tutti luoghi conosciuti, ma un altro ti può far guardare da altre prospettive e può farti cogliere particolari e significati a te sconosciuti. Per stare di fronte alle opere di Congdon è necessario cambiare lo sguardo. “…il dono in quanto mio l’ho distrutto, ma in quanto di Dio è inintaccabile, morto il dono in me, solo Dio può risuscitarlo e rimetterlo in opera, solo a Dio posso gridare perché il dono riviva.” Le sue opere non sono sue… ma un Altro le compie in lui. [Manuela]
- Bella giornata quella del 26 marzo. Ringrazio chi ha organizzato questa visita per avermi introdotto all’opera di William Congdon. Le tre ali della nebbia è stato il quadro che più mi ha incuriosito. Tre superfici cromatiche rappresentano il cielo, il bosco e il campo. Sembra il nulla, ma sotto quella nebbia c’è un mondo nascosto che si apre a uno sguardo che va oltre: una memoria velata e rivelata. Un quadro di realismo assoluto. [Pierluigi]
- Non sono una intenditrice di pittura e dunque opere come quelle di Congdon mi risultano difficili da capire, di conseguenza molto mi hanno aiutato i chiarimenti avuti durante la visita. Sono rimasta molto colpita dalle parole dell’artista, chiare e illuminanti: “Il dono in quanto mio l’ho distrutto, ma in quanto di Dio e inattaccabile.” C’è, in queste parole, la totale consapevolezza del dono ricevuto, dell’io mendicante che grida tutto il suo bisogno. Allora tutto è diventato ricco di significato, perché ho visto in quei quadri – per me inizialmente “astratti” – la concretezza di una Presenza. [Neomisia]
Note:
- Le frasi di Congdon citate sono tratte da: Esperienza/Viaggio di pittore americano(Jaca Book, 1975)
- Olivier Clemènt: I “luoghi santi” di William Congdon; in VV.: Il luogo dell’arte oggi (Jaca Book, 1988)